domenica 5 febbraio 2012

La costante di Walt Disney


Insomma, il fatto che mi ponga domande inusuali, non per forza deve significare che son pazzo o che ho una mente deviata, no?
E' normale che durante la giornata ci capiti di vedere, sentire o vivere delle situazioni che ci fanno riflettere, e conseguentemente porre domande alle quali, solitamente, seguono dei ragionamenti più o meno profondi, a seconda di quanto la situazione ci ha colpito. Pensate a quante domande stupide vi fate ogni giorno sotto la doccia, o quanti voli pindarici rincorrete col pensiero mentre siete imbottigliati nel traffico con l'auto (chi non bestemmia contro gli altri automobilisti), alle vite immaginarie che attribuite agli sconosciuti sull'autobus, o pensate a quando sognate ad occhi aperti, o avete incubi...insomma, se non siete una di quelle persone noiose che quando vanno sovrapensiero pensano solo alla lista della spesa, ai conti da pagare, ai casini amorosi, e a tutte quelle facezie che tendono a mangiarci la vita dal piatto senza nemmeno farcela gustare, capite di che cosa sto parlando. 
Per esempio...mettete il caso che un pomeriggio siete in una qualsiasi copisteria della vostra città, e per caso il figlioletto del copisterista (o copisteraio?) ((copisteriere lo escluderei a priori))(((ho pensato anche a copisterino, ma non mi suona per niente, per cui alla fine l'ho escluso))) sta guardando "La bella addormentata nel bosco" in streaming sul portatile scassato del padre che cerca inutilmente di stamparti il frontespizio della tesi. A quel punto, mentre non puoi fare altro che aspettare, entra in funzione il meccanismo di cui parlavo poco fa, e la testa comincia a farsi quelle famose domande inusuali. Per esempio: cosa sarebbe successo se Walt Disney fosse stato uno squilibrato maniaco e i suoi film non fossero quelli che siamo abituati a vedere, con il classico lieto fine, ma invece una serie di splatter volgari e dissacranti, con il cattivo che vince e subissa i buoni di angherie di ogni sorta, fino a rasentare o, addirittura superare l'amoralità?
Certo forse in questo universo pensare ad un capolavoro come "La spada nella roccia" in cui il buon mago Merlino, in combutta col cattivo padre di Artù, lo costringe con la magia a star sveglio rinchiuso in una delle torri medievali del castello a cucire stivali da cavaliere da giostra, è davvero troppo anche per me. 
Anche se..
Ora che ci penso l'interpretazione a molti mondi di Everett e Copenhaghen potrebbe, comunque, spiegare l'esistenza (all'apparenza improbabile) di un pianeta come la Terra, ma in cui Walt Disney è il più pervertito regista mai vissuto. Se l'interpretazione a molti mondi fosse corretta infatti esisterebbero così tante copie del nostro universo che l'esistenza di almeno un pianeta come la Terra, ma con un Walt Disney depravato, non è sorprendente, ed è almeno equiprobabile all'esistenza di un pianeta come la Terra che noi conosciamo e in cui viviamo. 
Insomma, per una stupidissima costante cosmologica ora in un altro universo un'altra versione del figlioletto del copisterista si sta guardando la strega Cornelia che dopo aver venduto il corpo della bella addormentata nel bosco ad una famigerata azienda farmaceutica per esperimenti scientifici, seduce il principe azzurro per poi sfoggiarlo solo per capriccio quale trofeo alle cene mondane in cui intratteneva tutti i più famosi e potenti personaggi della fantasia, da Jafar a Crudelia De Mon, da Gambadilegno a Mangiafuoco, e così via, tutti appassionatamente a tirare cocaina e a brindare sulla pelle di Mufasa adagiata sul pavimento, con Pocahontas che serve drink e Jasmine che intrattiene i festaioli con una lap dance esotica. Finchè un giorno lui, ormai depresso e tossicodipendente, si toglierà la vita in preda alla disperazione per il misero fallimento della sua esistenza, per non esser riuscito come principe azzurro e aver distrutto il proprio corpo con l'eroina e i giochini da schiavo sessuale ai quali lo costringeva continuamente la sua malefica ed insaziabile moglie.
Sarei potuto andare avanti anche con la storia di "Mickey Mouse: la strana storia della cavia numero 176-761", ma il copisteraio ha ormai finito di stampare il frontespizio, e questo evento mi ha riportato bruscamente nel mio universo, alle mie facezie, alla normalità e alle domande usuali.
Ed è proprio mentre esco dalla copisteria e ripenso a tutta la faccenda di Disney, Everett ecc, che me ne sovviene una: ma non è che forse son davvero un po' deviato?

sabato 4 febbraio 2012

confessioni e divagamenti


A lungo ho pensato alle parole che avrei potuto usare per descrivere ciò che mi sto accingendo a raccontare, sempre invano. Il fatto è che non è affatto facile parlare apertamente di certe cose, sottoporsi volontariamente al giudizio altrui, volontario o involontario che sia. Combattere contro la tendenza della gente a stereotipare le prime impressioni e basare su queste non solo la forma mentis, ma anche l'atteggiamento conseguente nei confronti di chi ci troviamo di fronte, è una battaglia contro i mulini a vento. Tutto ciò che si può imparare dall'esperienza è che non c'è mai un modo giusto, indolore, per esprimere la propria natura, senza dover poi affrontare le conseguenze che già il solo nostro modo di esprimerci causa nei meccanismi che le persone adottano per relazionarsi a noi.
Purtroppo con l'esperienza si impara anche che non c'è maniera di evitare questo fenomeno. In questi casi non fa alcuna differenza decidere di essere onesti e mostrare la nostra vera natura o mentire e dare un immagine falsa di noi, per come vorremmo apparire. Il giudizio preliminare che le persone si fanno è sempre diverso da quello che ci aspettiamo di fargli assumere, ed è anche sempre determinante per quello definitivo che poi si andrà a consolidare. Eppure sprechiamo la quasi totalità della nostra intera esistenza a cercare di implementare e raffinare i nostri mezzi comunicativi, dal linguaggio agli atteggiamenti. Assimiliamo una quantità spropositata di imput da un'altrettanto spropositata quantità di sorgenti che l'idea di poter dare un ordine globale al marasma di infinite convenzioni sociali, falsi stereotipi, interpretazioni e credenze, è non solo dannosa e utopica, ma anche la causa del guazzabuglio moderno che regola il mondo che ci siamo creati attorno, a partire da dentro di noi.
Questo da vita a quel processo autonomo nel nostro subconscio che ci auto-influenza intrappolando il nostro cervello in un atteggiamento analitico per categorie, che sembra d'altronde funzionare così bene nel mondo esterno. Ma la differenza dei modelli è abissale, e non si può pensare di applicare le stesse soluzioni a problemi di natura diversa, anche se di fatto lo si fà continuamente. E il risultato è che è assolutamente impensabile cercare di far arrivare un messaggio -per così dire- "interiore", a qualcuno così come noi vogliamo che sia recepito, perchè una volta uscito da noi, questo messaggio andrà in pasto ad un elaboratissimo calcolatore che è il cervello umano, e verrà distorto, piegato, ruotato, e riadattato a quello che è l'immaginario complessivo del destinatario. Un po come l'immagine di un paesaggio che entra attraverso gli occhi nell'immaginario di un pittore, che rielabora l'immagine con il filtro della sua esperienza, e lo riporta su tela in maniera differente da come il paesaggio realmente appare. Il quadro stesso, se visto da qualcun'altro che non ne sia il creatore, assumerà ancora un altro significato, e così via, per ogni essere umano su questo pianeta.
Parlando in questi termini semplicistici si potrebbe dire che sembrerebbe una perdita di tempo colossale anche il provare a comunicare, dato che comunque il risultato sarà più o meno influenzato da un certo grado di incomprensione, a seconda del livello di complicatezza del "filtro" della persona con cui vogliamo comunicare. Ma non è proprio così. In effetti, tanto per non smentirsi, è ancora più complicata. Nel senso che il motivo per cui non riusciamo a rinunciare a provare a comunicare ciò che sentiamo (e badate bene, ho scritto "sentiamo", non "pensiamo") dipende da tante variabili, TRA CUI anche la complicatezza del filtro del nostro interlocutore. Altri parametri che maggiormente influenzano il livello di incomprensione potrebbero essere dovuti a noi, risaputamente gli ostacoli più grossi per noi stessi. Ma nonostante tutto c'è questa forza invisibile che ci spinge a continuare a provare, a migliorare le nostre capacità comunicative, a capire la complessità dei modi di ragionare delle persone, in modo da cercare di far arrivare il messaggio il più chiaramente possibile, fino a che la differenza tra il nostro messaggio originale e quello effettivamente recepito non è abbastanza piccola da farci arrendere e ammettere che alla fine "ci si è capiti". Stessa forza che ci spinge anche ad ignorare i costi effettivi di queste abitudini, rendendo la nostra vita per quanto riguarda i rapporti interpersonali, sì un cieco spreco di energie, ma anche allo stesso tempo una (non sempre) divertentissima perdita di tempo. 
Ecco perchè allora, in questi tempi di crisi, ho deciso di limitare al massimo gli sprechi, e di non dire ciò che avrei voluto dirvi sin dall'inizio.